Se si considera quante persone ogni giorno in tutto il mondo, nelle attività più abituali vengono raggiunte dal più piccolo tag, sino al grande murale, si capiscono bene le potenzialità comunicative che accostano la natura underground della Street Art al suo essere un concetto di massa, che agisce tra i gruppi prima ancora di essere pubblicizzata come tale; creatività quale unico requisito richiesto, ampia visibilità, trasgressione e comunicazione sono alcuni degli elementi che ne decretano il successo.

In principio c’era Keith Haring e i suoi dipinti sulle lavagnette nelle metropolitane di New York. Icona del graffitismo underground degli anni Ottanta, ha consumato il suo talento evanescente in una sola decade, scomparendo a soli trentun anni il 16 febbraio 1990. La sua produzione artistica proponeva unacritica severa alla società contemporanea, di cui anch’egli era vittima, diffusa però esclusivamente sottotraccia, grazie alla costante presenza dei personaggi goliardici che aleggiavano all’interno dei suoi fumetti. Attraverso queste composizioni stravaganti, generate da pupazzi, omini, figure personalizzate e falli più o meno mascherati nei ghirigori più aggrovigliati, viene fuori un concentrato febbricitante di pensieri ridotti a elementi essenziali ispirati anche alle scritture ancestrali, come i geroglifici egizi e i pittogrammi giapponesi o cinesi, maya e indios. Haring, che condannava quello star system tutto made in America fatto di capitalismo e propaganda, iniziò la sua carriera fuori dai confini del sistema dell'arte, senza tele né colori ad olio, ma pronto a trasformare un muro di Manhattan nel nuovo supporto ad hoc.

"Ecco la filosofia dietro il Pop Shop: volevo continuare lo stesso tipo di comunicazione con i disegni della metropolitana, volevo ottenere la stessa vasta gamma di persone e volevo che fosse un luogo in cui, sì, non solo i collezionisti potessero venire, ma anche i ragazzi del Bronx... anche questa era una dichiarazione d'arte"― Keith Haring

Grazie al grande senso di appartenenza comunitaria, alla dinamicità dei pezzi e all'idea che i disegni dovessero essere completati in un'unità compressa di spazio e tempo, Keith Haring diede inizio alla storica tendenza targata anni Ottanta del Graffitismo. E, incredibilmente, con le sue operazioni al confine con la guerriglia urbana che già impelagava a New York dal 1971 , riuscì a far entrare quell'arte on the road, trasandata e indigente, nelle gallerie e nei musei di tutto il mondo.

Dopo l’apertura dei “Pop Shop” di Soho e Tokyo, in cui erano venduti memorabilia e gadgets più disparati come t-shirts, magneti, vassoi, tazze, puzzles e cuscini d’arredo, quasi certamente dopo Warhol, Keith Haring diviene il primo artista che mette a disposizione della società il proprio ingegno creativo in modo commerciale e alla portata di tutti.

Mentre Haring tentava di sviluppare i suoi progetti sui muri della metropolitana per conquistare l'anima delle migliaia di persone che percorrevano quei binari, fino a oltrepassare la soglia del successo e diventarne assoluto protagonista, Banksy partendo dalla periferia di Bristol, è arrivato in poco tempo, con delle vere e proprie invasioni clandestine, a invadere i musei più famosi del mondo, e a trovare da solo un posto per i suoi lavori, tra i capolavori di tutte le epoche.

Di soppiatto Banksy attraverso le sue incursioni in musei, gallerie o sulle strade di mezzo mondo, sfruttando il vantaggio di essere rimasto sempre nell’ombra, è riuscito con gli anni a farsi conoscere e apprezzare anche dal “jet set” artistico, grazie all’imitatissima la tecnica dello stencil, con cui riesce a trasmettere delle tristi, malinconiche, assurde, curiose, romantiche realtà. Lo Street Artist ha sempre cercato di suscitare interesse e scalpore per temi costantemente attuali, come nel caso più recente della rivisitazione di una delle sue opere più famose, la bambina con il palloncino a forma di cuore. Quest’opera, realizzata in occasione del terzo anniversario della guerra civile in Siria, servirà a promuovere la campagna #WithSyria in sostegno delle vittime del conflitto ed è stata proiettata il giorno dell’anniversario del conflitto, il 13 marzo 2014, sui monumenti simbolo di diverse città, tra i quali la Colonna di Nelson a Trafalgar Square e la Tour Eiffel .

L'ultima provocazione di Banksy è avvenuta a ottobre 2018: il quadro “Ragazza con palloncino” si è “autodistrutto” appena dopo essere stato venduto a un’asta di Sotheby’s a Londra per oltre un milione di sterline. Poco dopo che il banditore ha battuto il martello, una sorta di tritadocumenti apparentemente nascosto dietro la cornice ha distrutto gran parte della tela che è scivolata fuori dal fondo del quadro in tante striscioline. Non è chiaro se l’artista fosse presente in sala ed abbia azionato egli stesso il meccanismo nascosto. Quel che è certo è che ha pubblicato un'immagine sul suo profilo Instagram commentando: "Going, going, gone...".

La presenza diffusa di Banksy nelle strade di tutto il mondo ha scatenato l’emulazione da parte dei nuovi Street Artists grazie anche all’utilizzo della tecnica dello stencil, che permette di riprodurre velocemente e in serie forme, simboli e lettere attraverso una maschera “normografica”, tagliata in modo tale da formare un negativo fisico dell’immagine che si vuole creare. Nello stencil, praticato sovente in maniera illegale, ci si serve quasi sempre di simboli culturali globalizzati e riadattati alle esigenze comunicative dell’artista, a riprova del fatto di quanto questa pratica si alimenti principalmente di immagini riconoscibili da tutti, attingendo ampiamente dal web, e che, una volta scomposte, assumono un nuovo significato simbolico.

Così, con la diffusione capillare di questi messaggi attraverso le piattaforme di cui è ricchissimo il sistema di comunicazione attuale, il web è letteralmente invaso ogni giorno da articoli che inneggiano alla Street Art, frequentemente diffusa dall’energia straripante dei social network o dalla moda. Molto spesso invece questa tendenza è più dilagante nelle singole realtà cittadine, in cui se ne sottolineano gli aspetti folkloristici, tradizionali e culturali, come nel caso di Ozmo, il primo Street Artist italiano “acquisito” da un museo, il Museo del Novecento di Milano, che nel giugno del 2013 ha realizzato a Bari un trittico su un muro del sottopassaggio di Via Quintino Sella dedicato a ”San Nicola dei baresi”, quello dei popoli dell’Est, Santa Claus, con tanto di regolare permesso concesso dal Comune cittadino. Tre icone differenti e un solo santo che viene scelto per omaggiare la città e rievocare la molteplicità dei simboli e delle culture, ma anche la solidarietà fra fedi diverse che convivono in città.

Sempre in Puglia è interessante ricordare il Fame festival di Grottaglie, dove, nella rassegna totalmente dedicata alla Street Art, è stato portato il meglio della produzione artistica internazionale. Molti artisti di rilievo (Erica il Cane, Momo, Akay, Jr) hanno letteralmente invaso tutta Grottaglie con le loro opere, per far riflettere sulla reale identità di arte e artista nel contesto urbano in cui si sono confrontati. Ma l’arte in strada, oltre al contesto più underground già citato, ha origini di carattere divulgativo già a partire dagli anni Ottanta quando, per i vicoli di Napoli, si affacciava il francese Ernest Pignon-Ernest, uno dei primi artisti a guardare la città partenopea come una tela bianca a cielo aperto e pronto a veicolare qualsiasi messaggio artistico attraverso un'estemporanea sulla facciata di un edificio, o direttamente per strada. Durante la settimana Santa del 1988, ogni notte Ernest ricopriva le stradine e le facciate dei palazzi nel centro storico con disegni sulla carta dei quotidiani, spesso ispirati alle opere di artisti che a Napoli avevano lavorato per una buona parte della propria vita, come Caravaggio, Luca Giordano, Ribera o Massimo Stanzione. Incastrando le loro opere nel contesto urbano, l'autore ricercava le radici della cultura mediterranea, interrogando il rapporto tra la vita e la morte, così forte e presente nella cultura partenopea, tanto da creare un continuum spazio-temporale mai interrotto dai secoli intercorsi tra un avvenimento e un altro, e celebrati oggi dopo trentadue anni dal primo intervento sullo spazio urbano.

Oggi non può reggersi una netta separazione tra Street Art e ciò che possiamo definire “social art”. La presenza del pubblico internazionale, soprattutto grazie al notevole coinvolgimento della cittadinanza negli spazi urbani mirati a interventi di riqualificazione e la capillare presenza dei network, provvedono a formare autonomamente dei fenomeni globali in cui si dà largo spazio più all’impatto comunicativo che a quello estetico, creando spesso, un canale privilegiato di promozione gratuita. Parafrasando André Breton, illustre figura del Surrealismo, è il caso di dire che l’arte, come fenomeno sociale deve essere necessariamente dipendente dalle mode culturali della società contemporanea; essa non può limitarsi a declinazioni di sé stessa su modelli predisposti, ma deve cambiare i suoi aspetti peculiari per venire incontro ai bisogni reali dell’essere umano, scendendo nelle piazze, per essere diffusa attraverso tutti i canali dell’universo 2.0.