Erano quasi 6 anni che non mi capitava una cosa simile.

Avere del tempo per me. Per leggere, ascoltare podcast, scrivere, dormire quanto basta, incontrare amiche senza fretta, andare in palestra con una certa costanza.

Da quando sono rientrata da Zanzibar, un nemico si è insinuato nella quotidianità mondiale. E in poco più di un mese ci ha costretto a stravolgere le nostre abitudini, ad annullare impegni di lavoro, a temere per la nostra economia (e per quella italiana - e poi mondiale - in generale), a svaligiare supermercati e a preferire un'Amuchina gel a una Chanel 2.55. Non voglio però parlare della questione virus - se ne sta già parlando abbastanza - bensì di quello che ne è conseguito. E di quel fenomeno che prende il nome di bellezza collaterale

La bellezza collaterale, quella bellezza che si sviluppa intorno a un fenomeno negativo, difficile da affrontare. Una bellezza che arriva così: un po' per caso e un po' perché la cerchiamo. Perché sappiamo di averne fortemente bisogno.


In tutti i momenti bui della mia vita, ho cercato sempre un lato positivo. Una bellezza collaterale che, seppur piccola in confronto al dolore e alla tristezza, mi regalava uno spiraglio di positività. E l'ho sempre trovata. A volte mi sono sentita egoista e superficiale, chiedendomi se fosse giusto trovare del buono dove nessuno l'avrebbe scovato. A volte ho condannato me stessa per questa estenuante ricerca del bello e per il non volermi arrendere dinanzi ad un avvenimento traumatico, ma sentivo di non poter fare diversamente. La bellezza collaterale mi ha sempre salvato. 


E in questi giorni la mia bellezza collaterale l'ho trovata in alcune cose, che potrei riassumere con due parole: tempo e routine.

 Ormai da anni vado sempre di fretta, con una valigia sempre pronta da disfare e rifare più volte, anche nella stessa settimana. Da anni per il mio lavoro spesso rinuncio - con sacrificio -a  feste e compleanni di persone a me care. Da anni mi dedico con anima e cuore a questa passione dei viaggi e della comunicazione, spesso dimenticandomi che si tratta (anche) di un lavoro e che tutto andrebbe dosato. Forse vi sembreranno esagerate queste esternazioni, ma vi assicuro che è proprio così. 

E quindi vi confesso che non mi è dispiaciuto tornare ad avere una fattispecie di routine e rallentare. Non voglio dire fermarmi perché - di fatto - non sono mai ferma. La mia mente immagazzina continuamente informazioni e le rielabora in nuove idee e in nuovi progetti. Sono il mio carburante. 

Avere più tempo per me significa poter leggere di più, poter scrivere di più, ascoltare tantissimi podcast (sono diventati una droga) e poter apprendere tanto. Oltre al fatto  - non meno importante - che sono tornata a fare attività fisica con una certa costanza. Per non parlare delle relazioni sociali, che possono tornare ad essere coltivate senza dare priorità a decine di altri impegni.

Se sfruttato bene, questo tempo può essere prezioso e cruciale per ripartire meglio di quanto previsto. 


Dicono che le grandi cose nascono proprio dalle situazioni più critiche. E forse è vero. Perché portano a riflettere, a non dare nulla per scontato. 

Pensiamo ai viaggi. Quanto siamo stati abituati a dare per scontata la possibilità di viaggiare? Di viaggiare e di prendere un aereo, conoscere una nuova cultura, essere ben accetti in un altro Paese. Io per prima, soprattutto grazie al mio lavoro, ho fatto dei viaggi una routine. 

Questi giorni mi sono serviti a capire quanto non sia così banale tutto ciò. Che ci sono persone - magari provenienti da situazioni disastrose - che arrivano in un Paese e no, non vengono aiutate. Non vengono accettate. E quelle persone un domani potremmo essere noi. Strano, no? Nessuno di noi l'avrebbe mai considerato, eppure è così che ci siamo sentiti quando alcuni Paesi hanno deciso di chiuderci le frontiere. D'altronde è quello che abbiamo fatto anche noi con la Cina e che - confesso - io avevo anche approvato, in una tale situazione di emergenza. Col senno di poi, molti dicono che non sia stata la scelta più corretta. Ma a prescindere dal fatto che la decisione sia opinabile o meno, io vorrei porre l'accento sulla chiusura delle frontiere e sull'innalzamento delle barriere. Barriere mentali. 


Io spero che ognuno di noi possa imparare qualcosa da tutto questo. Che i reietti non sono sempre gli altri, che quei reietti potremmo essere noi. 

Spero che tutto questo rallentare possa insegnare a noi tutti, me in primis, il significato delle parole empatia e umanità. E il riuscire a mettersi nei panni dell'altro. 

 Questa sì che potrebbe essere una grande bellezza collaterale.