Un vortice di gente, odori, colori: Kathmandu
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Kathmandu non è facile da digerire.
Anche per una come me, abituata allo smog e al casino di Bangkok e innamorata del marasma di gente, odori e colori dell'Asia.
Se a Bangkok, tra un bagno di folla e una corsa in tuk tuk, ci si può rifugiare in quei templi e in quelle dimore che io definisco oasi di pace, ecco, a Kathmandu si fa davvero fatica a scovare posti simili.
Fa caldo, tanto caldo e manca l'aria appiccicosa del sud-est asiatico, ma in compenso è la gente che ti si appiccica addosso. Con gli occhioni profondi, con gli ampi sorrisi dietro cui si celano talvolta richieste di aiuto, altre volte un'infinita gentilezza disinteressata.
D'altro canto non si può certo dire che il Nepal sia un Paese facile.
Un viaggio per intenditori - dicono, un viaggio di nicchia.
Io dico che è un viaggio per chi non si aspetta nulla. Per chi è pronto ad abbandonare a casa una parte di sé, per chi desidera semplicemente lasciarsi avvolgere, coinvolgere, stupire.
Il Nepal è il viaggio per chi è pronto a vivere più vite. In una sola.
Kathmandu è la base. Il punto d'arrivo e di partenza, nonché una destinazione interessante da esplorare.
Una città particolare, lo si capisce già una volta arrivati in aeroporto, il non-luogo per eccellenza. Fatto di tanti mattoncini rossi, piuttosto buio, estremamente demodé.
Scordatevi pure l'aeroporto di Bangkok, Dubai, Abu Dhabi. L'aeroporto di Kathmandu mi ha ricordato molto quello di Koh Samui, ma senza quell'effimera atmosfera da villaggio turistico.
Un timbro sul passaporto.
Il primo namaste.
Ed ecco che sono ufficialmente in Nepal.
Ad aspettarmi c'è un cielo plumbeo che copre i colori del tramonto in arrivo.
Ma poco importa, sono a Kathmandu e niente può alterare la mia euforia.
Kathmandu.
Ve l'ho già mostrata in video, ma stavolta voglio farvela scoprire attraverso foto e parole.
Partendo dal centro della città, riconosciuto Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco. Decadente, rumoroso, ipnotico.
Con le sue piazze - in particolare Piazza Durbar - gremite non solo di gente, ma soprattutto di piccioni pronti a spiccare il volo. Insieme, all'unisono.
Sono certa che i piccioni di Piazza San Marco a Venezia potrebbero impallidire se vedessero cosa sono capaci di fare i piccioni nepalesi, lasciando a bocca aperta ogni visitatore.
Insomma, il Nepal mi ha portato ad apprezzare intrinsecamente anche quello che mai - e dico mai - avrei potuto amare.
Gli stranieri non sono tantissimi. Questo - a mio avviso - permette di amalgamarsi meglio alla città e alla sua gente. I nepalesi non sono abituati ai visitatori come accade in altre località.
Sono sinceramente curiosi. Hanno occhi vispi. Spesso amano farsi fotografare, spesso desiderano vedere come sono venuti in foto. E sorridono.
Uno dei posti più affascinanti è il meraviglioso stupa di Swayambhunath - anche conosciuto per le sue scimmie - che vanta ben 2500 anni.
Un luogo mistico.
Il primo posto in cui ho incontrato le bandierine colorate con i loro mantra. Le bandierine di cui mi sono follemente innamorata, le bandierine che mi hanno sempre fatto sentire protetta, che non mi avrebbero più abbandonato.
Il primo posto in cui ho visto le mani dei fedeli scorrere velocemente facendo roteare i mulini della preghiera.
E poi l'ossimoro.
Anche in Nepal.
Oltre le bandierine, oltre le campanelle, oltre i braccialetti portafortuna arancioni, gialli e rossi.
Oltre tutto questo ci sono i sacrifici animali al tempio Dakshinkali.
Come ho fatto per la pagina Facebook, anche qui vi risparmio l'atrocità delle immagini.
Immagini dure, toste, che si associano più ad una macelleria che ad un rito religioso.
Eppure.
Eppure non sono nessuno per giudicare, io. Per i nepalesi questa è una celebrazione importante per rendere omaggio agli dei, per quanto possa risultarci assurda.
L'ho vissuta senza permettermi di giudicare. L'ho vissuta umilmente, da ospite.
Tirando su, invano, la mia lunga gonna rossa che si andava inzaccherando in quella poltiglia rosso sangue frammista a petali e riso.
La stessa poltiglia che i nepalesi calpestavano a piedi scalzi.
L'ho vissuta respirando gli odori nauseabondi e cercando di liberarmene quanto prima.
L'ho vissuta cercando di imprimere nella memoria i volti dei fedeli. Cercando di ricordare la loro frenesia, la lunghissima fila sotto il sole cocente.
E poi ci sono le cremazioni sul fiume Bagmati a Pashupatinath.
Non le ho vissute nel pieno della celebrazione quindi no, non posso dire cosa si prova esattamente.
Ho solo visto la preparazione della salma, già infagottata in un involucro arancio brillante e ricoperta di tagetes profumati.
Anche qui l'impatto è stato forte. Al limite tra l'incredulità e la curiosità, al limite tra l'assurdo e il fascino di un culto così diverso della morte.
Non ho visto l'intero rito, ma ho visto il fumo, ho sentito l'odore inebriante e nauseabondo della cremazione.
La morte viene celebrata così, in pubblico. E anche se qui tutto ciò può suonare strano, beh, vi assicuro che lì, dall'altra parte del mondo, non lo è.
Anche io mi sono lasciata conquistare da quel contesto.
Ho scattato poche foto, ipnotizzata dal momento.
E questa è Kathmandu tra immagini e parole.
Il Nepal che non va via dalla mente. Il Nepal che mi arrovella e per cui fatico ancora a cercare risposte. Il Nepal che porterò, presumibilmente per sempre, nel cuore.
Vi ricordo, anche stavolta, che il nostro viaggio può essere replicato da ognuno di voi, tappa dopo tappa (e con eventuali modifiche), grazie a nepalroutes.com.
La foto che ritraggono me sono state scattate da Alessio S.
Tutte le altre foto sono state scattate da me con Canon 70 D