Il Sudafrica, il bianco e il nero - quello che ho capito dell'apartheid
Vai all'articolo: Il Sudafrica, il bianco e il nero - quello che ho capito dell'apartheidSono arrivata in Sudafrica che sapevo pochissimo dell'apartheid. Giusto due nozioni generali, quelle che avevo appreso tra i banchi di scuola, quando l'Africa mi sembrava irraggiungibile e gli anni dell'apartheid mi sembravano lontani quanto potevano esserlo i secoli in cui veniva praticata la tratta degli schiavi.
Sono andata via dall'Africa chiudendo il viaggio con la visita al museo dell'apartheid a Johannesburg - il culmine dell'esperienza in Sudafrica - con maggiori consapevolezze e diverse testimonianze, con gli occhi lucidi e il cuore in frantumi.
E oggi sono a casa, con Somewhere over the rainbow nelle cuffie, a parlare di questa tematica più grande di me e di cui so ancora troppo poco, ma che non voglio e non posso ignorare. Perché per capire quello che oggi è il Sudafrica bisogna affrontare l'apartheid.
Sento però di dover partire da una premessa. Durante l'intero viaggio mi è sembrato che tutti i lavori più umili e comuni - dalla cameriera alla donna delle pulizie - fossero svolti da gente di colore.
Ho anche notato che i sommelier di Stellenbosch e quasi tutti i ranger che incontravo durante i safari erano bianchi. Insomma, durante l'intero viaggio la differenza tra i bianchi e i neri, la separazione - che in afrikaans si dice appunto apartheid - mi è sembrata ancora netta, evidente.
Nei locali frequentati dai neri i soli bianchi eravamo noi turisti, era palese.
Sarà stata solo una mia sensazione?
Una sera abbiamo conosciuto un italiano che ha fatto fortuna a Cape Town e, parlando della politica locale, non ha esitato a manifestare il suo razzismo nei confronti della gente di etnia nera.
Ero indignata. Non mi capacitavo di come potesse essere ancora presente un fenomeno simile, non me l'aspettavo. Confesso che mi aspettavo un Sudafrica più aperto, più proteso verso la coesione, l'unione della sua gente.
Solo durante la visita del museo dell'apartheid - altamente consigliato a chi visita il Paese - ho trovato delle risposte.
Prima dell'ingresso io e Francesco abbiamo ricevuto due biglietti diversi. Io per i bianchi, lui per i neri. Saremmo entrati da due porte differenti come accadeva ai tempi dell'apartheid, quando i bianchi e i neri avevano accessi differenti, quando i bianchi e i neri dovevano frequentare scuole diverse, avevano documenti diversi, dovevano occupare piani diversi persino sugli autobus. Quando persino i meticci erano penalizzati, solo perché figli di due persone di etnia diversa costrette - per giunta - ad occupare posti diversi non solo nell'autobus, ma anche nella società.
E così siamo entrati da due porte diverse, siamo entrati in un tunnel dalle fattezze di una prigione, ci siamo guardati attraverso un'altissima grata. Sono stati minuti pesanti, minuti in cui ho riflettuto fino ad arrivare alle prime foto, alle atroci video-testimonianze. Fino a sentire le parole della mia guida, fino a vedere i suoi occhi lucidi, così lucidi che si specchiavano nei miei. Lei, bianca, ha vissuto l'apartheid dall'esterno, ci ha raccontato del suo papà razzista, razzista come quasi tutti gli uomini bianchi di mezza età, abituati alla segregazione, alla normalità di una società fatta di differenze. Lei, appena quarantenne, non ha amici neri perché a scuola non non ne ha conosciuti. E nemmeno all'università. Ha sempre frequentato gente bianca e non l'ha fatto per disprezzo. No, l'ha fatto perché era normale, andava così.
Quando io nascevo dall'altra parte del mondo, alla punta dell'Africa, c'era un'ampia fetta di popolazione nera che soffriva. C'era un'ampia fetta di popolazione nera - tra cui moltissimi ragazzini soprannominati lions - che lottavano contro il razzismo. Lottavano rispondendo alla politica del terrore seminando disagio.
E poi Mandela.
Nelson Mandela, un uomo che definirlo uomo è riduttivo, un eroe che nella sua intera vita si è battuto per i diritti dell'uomo, per l'uguaglianza e per la pace. E l'ha fatto anche dietro le sbarre, per trent'anni.
E ha fatto la storia del Paese. Ha fatto sì che adesso nelle scuole i bambini non vengano più divisi a seconda del colore della pelle, ha acceso la speranza per un futuro migliore.
Un esempio mondiale che merita un erede. Milioni di eredi, non solo in Sudafrica.
Gli eredi di Madiba siamo noi. Ogni giorno veniamo messi alla prova, ancor più in questi tempi in cui in Italia si parla tanto di immigrazione e razzismo.
La storia in un modo o nell'altro si ripete e noi dobbiamo essere pronti a far sì che questo non accada.
Il museo dell'apartheid non è stata una semplice visita, ma un viaggio. Un viaggio nel viaggio.
Per imparare ma soprattutto per non dimenticare, proprio come ci impegniamo a non dimenticare gli orrori dell'Olocausto. Cosa cambia, in fondo? Si tratta sempre di una politica razziale basata sul terrore e sulle discriminazioni, sulla spregevole separazione. Un fenomeno che sembra ripetersi all'infinito nel corso dei secoli. Assume nuove forme, ma è sempre lo stesso, è sempre razzismo.
People are human beings, produced by the society in which they live. You encourage people by seeing good in them.― Nelson Mandela
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